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Copy of Copy of Copy of Coscienza e soggettività in psicoanalisi: la struttura del soggetto lacaniano. Koj

2024-07-26 13:09

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Copy of Copy of Copy of Coscienza e soggettività in psicoanalisi: la struttura del soggetto lacaniano. Kojève apre la porta al reale lacaniano.

4.   Kojève apre la porta al Reale lacaniano. Abbiamo delineato seppur brevemente la questione dello Schema L, dove possiamo notare come la nascita de

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4.   Kojève apre la porta al Reale lacaniano.

 

Abbiamo delineato seppur brevemente la questione dello Schema L, dove possiamo notare come la nascita dell’Io riguardi l’intreccio tra Immaginario e Simbolico, mentre quella del soggetto sia frutto dell’incontro tra Simbolico e Reale. Perché il Reale? Approdiamo dunque alla questione del Reale lacaniano. Lo facciamo tornando alla dialettica tra Kojève e Lacan come un secondo passo, un ritorno stavolta calibrato sulla rilettura di Hegel in chiave esistenzialistica. Kojève, nella sua rilettura di Hegel, come accennato, imbocca una strada diversa attraverso la quale mette in campo un dualismo privo di assolutizzazione. Di fatto è come se introducesse degli elementi kantiani nell’idealismo hegeliano. Questo volersi affrancare rispetto ad Hegel concerne l’inaccettabilità dell’idea hegeliana secondo la quale la storia sarebbe un processo di autorivelazione dello Spirito volto a cogliere la verità che manca al sapere per realizzarsi, dove la verità è già presente in ogni processo storico, ma che in evoluzione, avanzamento e regressione porta alla realizzazione dello Spirito assoluto. E’ un monismo che prevede la coincidenza tra simbolico e reale. Introducendo elementi kantiani alla fenomenologia di Hegel, Kojève evidenzia l’esistenza di un mondo in sé, inconoscibile, fatto di oggetti, il mondo della natura. Possiamo conoscerlo solo trasformandolo con i nostri sensi, tramite la nostra percezione: l’uomo crea un altro mondo, un mondo umanizzato e lo fa attraverso il simbolo. In realtà nella Fenomenologia dello Spirito, Hegel ci dice chiaramente che la sola realtà dialettica è quella umana, ma egli stesso in qualche modo si contraddice costruendo una concezione monista del mondo, dove natura e uomo finirebbero per diventare la stessa cosa, come se fosse possibile anche una dialettica dell’intera realtà della natura. Kojève afferma invece che la dialettica fa parte della realtà umana e di ciò che l’uomo, tramite negazione, umanizza e libera dalla staticità naturale creando un mondo finito e storico. Ma il mondo della natura resta sempre e comunque separato e non integrabile, non vi è conciliazione o dialettica, ma negazione del dato.

Lacan, già nel 1938, in Complessi Familiari, segue questa lettura secondo la quale il discorso è la morte della cosa e la presenza è presenza di un’assenza.[1] Motivo per il quale Lacan ci dice che ogni significazione rinvia ad altre significazioni, c’è uno slittamento; il segno arriva per dire di qualcosa, per simbolizzare qualcosa, che proprio perché è detto, non esiste più in quanto tale, in-sé, perché è parte dell’indicibile del Reale. Ed è in quell’assenza che dimora il soggetto, che può emergere soltanto a posteriori grazie proprio alla parola, cioè al legame tra il registro del Simbolico e del Reale. Ciò che si vuol dire in definitiva, è che il soggetto è sì determinato dal significante, ma questa alienazione non è totale, essa lascia un vuoto, un buco nero intorno al quale danzano i significanti. Ed è nella costruzione di questo cerchio intorno alla mancanza, in quanto resto del Reale, che può acquistare senso una psicoanalisi. Lacan ci da questa possibile definizione di soggettività e struttura: “Vi do una definizione possibile della soggettività, formulandola come sistema organizzato di simboli, che tende a coprire la totalità di un’esperienza, ad animarla, a darle un senso.[2] Nel testo originale francese troviamo in luogo di “tende a”, “pretende di”: una pretesa. Il sistema simbolico pretende di voler dire tutto dell’esperienza di vita, si candida a, ma non vi riesce. Il simbolo aliena e dice del soggetto, ne dà il senso, ma lo manca costantemente.

Così avviene per la nascita del soggetto: il corpo vivente del neonato viene introdotto in questo mondo per umanizzarsi. Il taglio, la rottura operata dall’umanizzazione ci dice che la struttura è segnata dalla perdita, da una mancanza; Non solo quella mutilazione, quel pezzo andato perduto, sarà la base per la costituzione della teoria dell’oggetto piccolo a, inteso come oggetto causa del desiderio umano, ma avendo, in quanto taglio, il carattere di ferita aperta rappresenta anche il nucleo costitutivo della pulsione di morte. Essa si esprime attraverso i meccanismi fallimentari della ripetizione, ripetizione mortifera di eventi, che non vanno confusi con la troppo semplice voglia di morire, ma voglia di vita in eccesso, voglia di pienezza, depressione nostalgica di un passato mitico. Eventi ripetitivi, che, letti a distanza, sembrano avere il sapore di un inconscio masochismo primario dell’essere umano. Quel Reale verso il quale si tende è un Reale del godimento, ricerca di un incontro sempre mancato, fonte di sofferenza per l’Io, elemento di jouissance per il soggetto. Uno straniero in casa privo di senso.

Di fronte alla presa del simbolico possiamo individuare due figure del Reale, anche se per Lacan in definitiva, il Reale è soltanto il Reale del soggetto.

Da una parte abbiamo un reale, utilizzando la terminologia heideggeriana, ontologico che in Lacan assume il carattere di mito. Esisterebbe cioè una presunta mitica unità, purezza originaria, un prima, del quale non possiamo dire nulla. Un Reale che viene tagliato dal significante responsabile della nascita del soggetto e del senso. Potrebbe essere un abbandono del mondo animale, tramite una rimozione originaria. Questo Reale è al di là del simbolo, non prevede punti di contatto. E’ il reale dell’animalità del corpo vivente. E’ la cosa, Das Ding. La cosa non viene elaborata, ma rimossa e sostituita dal simbolo.

Tuttavia in conseguenza al taglio simbolico, in questo bagno fondamentale nelle acque ancora torbide del linguaggio, la parola non riesce a dire tutto dell’esperienza. Qualcosa resta al di fuori. Un tallone d’Achille. Il concetto stesso di negazione esprime un resto, è un non dire tutto, anzi è un conservare sopprimendo. Ma questa seconda forma di Reale definibile invece come ontico, è in qualche modo integrabile, in qualche modo simbolizzabile seppur a posteriori. Il simbolico ha agito. Il dire di qualcosa è sempre un dire parziale rispetto al realtà dei fatti ed anche il ridire successivo del medesimo fatto è un dire diverso, mai lo stesso. Io uguale ad Io non può esistere. E’ un foro, è il buco della mancanza, simbolo della finitezza dell’umano e dunque della sua castrazione. La domanda del desiderio è spinta più sul versante di questo resto. Non è più desiderio del desiderio. Quel buco è un reale ontico, cioè più concreto e relativo ai fatti di vita del bambino, qualcosa che capita, come l’inspiegabile partenza improvvisa della madre, qualcosa che genera angoscia e che avvia una ricerca che aiuti a dire cosa sia accaduto. E’ la creazione dell’enigma di cui abbiamo già parlato. L’Altro materno non è sempre lì, sempre a prendersi cura del bambino. Cosa cerca? Cosa le manca? Come mi vuoi? Non è volontà di avere il corpo materno, né di essere riconosciuto, ma volontà di essere quella cosa che manca, che è il desiderio dell’Altro. Quel desiderio che rappresenta in questa fase un’incognita, come abbiamo già visto, verrà sostituita, in tutti i casi di nevrosi, con quello che Lacan identifica come il significante del Nome del Padre. L’incognita sul desiderio materno è in qualche modo risolta e rappresenta l’essenziale apertura verso l’Ideale dell’Io, verso la trasmissione paterna di un desiderio possibile che abbandona i miraggi speculari di Narciso. L’individuo ancorato a questo significante non individua chiaramente e definitivamente il suo oggetto del desiderio lungo la propria esistenza. Quando diciamo che il neonato non cerca il corpo della madre stiamo dicendo che la questione non riguarda l’oggetto in sé, esso fa da velo, maschera un’altra ricerca. Questo oggetto come abbiamo detto diverrà l’oggetto piccolo a. L’ordine simbolico non costituisce la domanda del soggetto, ma iscrive la possibilità di questa domanda. L’intervento del significante non abolisce l’oggetto, ma fa sì che avvenga un superamento dello stesso (di cui certamente l’individuo ha bisogno come ad esempio il latte materno), tramite uno slittamento verso altri oggetti (come il seno materno), perché sono oggetti del fantasma. Il desiderio sarà ormai desiderio d’altro, o ancora, desiderio di niente.

Lacan dunque riprende Kojève per separarsi da Hegel ed aprire la questione della mancanza immanente. Dunque cos’è questa sovversione del soggetto di cui egli parla? Non si tratta di colmare il sapere con la verità, ma di spingere il sapere verso ciò che può sapere utilizzando l’ignoranza. Si tratta di risolvere una crisi attraverso una nuova forma simbolica che è la funzione analitica di cogliere il ritorno del rimosso. La crisi normalmente contiene già gli elementi per essere superata, sapendo però che alle sua fondamenta esiste la verità come mancanza, mancanza immanente, parte del Reale sulla quale si può stringere un patto simbolico. Questa è la ragione per la quale l’analisi non è un processo di autorivelazione di sé, sapere un sapere che era già là sempre presente, come Hegel intende invece il substrato di tutti i processi storici. Si tratta di una rivelazione da una parte, di una costruzione dall’altra e di un resto della pulsione, del fantasma e del desiderio intesi come irriducibili. Se l’alienazione non è totale, allo stesso modo non lo è la disalienazione. Esiste sempre una resistenza come traccia di quel godimento mitico iniziale. L’esistenza dell’individuo è caratterizzata da questa erranza senza stabilizzazione identitaria, una elaborazione permanente della catena significante dove non c’è soddisfazione definitiva del desiderio. La ricerca folle della verità assoluta è pulsione di morte che vorrebbe la fine del piacere, come ritorno al piacere della quiete. L’inanimato non ha più nulla da desiderare. Il malinconico non ha nulla da desiderare perché non è stato oggetto di desiderio, ma oggetto scarto, rifiuto; ed un rifiuto non ha nulla da desiderare se non la voglia di tendere alla quiete per un corpo che non è stato acquistato dalle angosce primarie. Pura pulsione di morte. Per questo Lacan dirà che il principio di piacere (che egli intende come agganciato al godimento) è essenzialmente volontà che il piacere cessi. Invece l’etica della finitezza dell’essere umano e della conoscenza attraverso il simbolo della castrazione è la strada per un desiderio possibile in questa esistenza. Capovolgendo il concetto filosofico di soggetto, Lacan introdurrà un concetto di desiderio legato alla legge, alla limitazione del godimento[3]; Detto altrimenti con le parole dello stesso Lacan: La castrazione vuol dire che bisogna che il godimento sia rifiutato per essere raggiunto sulla scala inversa della Legge del desiderio.[4]

Parlare del soggetto è dunque parlare del desiderio dell’uomo. Gli uomini credono propri i desideri degli altri ed in questi si riconoscono perché, in fondo, non ne sanno nulla e questo fatto lo si nota nel bambino spesso così infelice. Questo è il dato che emerge dalle analisi degli adulti che lavorano in maniera forsennata per disseppellire i propri desideri, ritrovarli, ricrearli. Quando questa complessa operazione analitica è possibile? Quando si produce una domanda sul senso della propria vita che ha perso di senso, quando si è perduta la propria strada e si vive uno smarrimento. Quando si presenta l’occasione di interrogarsi su quell’angoscia presentatasi senza motivo apparente. Se l’individuo non si chiede chi è, che cosa è e che cosa non è, decade ogni riflessione su ciò che è vero e ciò che è falso, così come ogni senso della sua analisi.  

 

 

[1] Cfr. Kojève, A. (1996).

[2] Lacan, J., (2006), p. 49.

[3] Brass (2014), p. 116.

[4] Lacan (1966), p. 7


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